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Il bacio

ASSAGGIO DEL VOLUME

Accadde negli innocenti anni Settanta. Oh, che anni di pace! La nostra professione - come suona bene anche ora! - era: studenti liceali. Allora si ascoltava una musica di cui valeva la pena anche di parlarne. La nostra appartenenza ad un gruppo e i nostri valori erano espressi da cose semplici: un paio di blue jeans con su una camicia sfiziosa e via, a vivere la vita. Così ero io da giovane.
Che cosa avevo da fare? Cosa deve fare un adolescente? Cosa deve fare una persona? Sono molto pochi a saperlo. Ma non tanto quanto uno zoppo che tempo fa viveva nella nostra strada. Quel poveraccio aveva una compagna veramente terribile. La donna era due volte più grande di lui ed aveva dei baffi come un uomo. Ma tuttavia quell’uomo sapeva cosa doveva fare.
Ogni mattina, regolarmente, alla stessa ora si recava all'osteria vicina, il che provocava le imprecazioni da parte della sua consorte. La donnona robusta, vestita con un ampio abito da casa, sotto il portone agitava minacciosamente il pugno e investiva di parolacce il povero zoppo:
- Dove vai, maledetto? Non fai mai il tuo dovere, stronzo!
Andava
così ogni giorno. Però una volta l'uomo dall’aspetto triste disse la verità, almeno così mi sembrò, su quale fosse il suo compito nella vita:
- Cos’hai tanto da strillare, arpia?! Che cosa devo fare io nella vita? Nel modo in cui sono ridotto, con una gamba sola…un invalido? Niente! O per meglio dire, andare all'osteria. E adesso lasciami in pace. Mi vado a fare i fatti miei.
L’unica cosa in cui credere - forse, un po’ grazie a quel buon uomo -
è che l'armonia portante l’abbellimento esiste solo quando ognuno è consapevole di quello che deve fare. Le proprie cose! Non quelle altrui! E che cosa avrebbe dovuto essere la cosa più importante, alla nostra età di adolescenti, se non accogliere l'amore che sboccia? Fu negli anni del liceo che provai per la prima volta sentimenti indefinibili per ragazze stupende, formose, vellutate, sorridenti, profumate… Potrei elencare all’infinito le immagini dei miei ricordi. Questo era il nostro compito, o almeno questo era il mio. Tuttavia non sempre le cose procedevano senza problemi.

All'inizio degli anni Settanta c’erano soltant
o due licei nella mia città nativa. L’uno e l’altro. Il primo era più blasonato del secondo. Io frequentavo il primo e non avevo da lamentarmi del mio compito più importante. Facevo il mio bel compito giorno per giorno. È vero che fino ad oggi non ho dimenticato l'amore. Neanche quell'amore. Grazie alla mia fortuna in poco tempo nacque in me un sentimento esplosivo. All’inizio degli anni del liceo diventò chiaro chi voleva bene a chi. Cioè io a lei e lei a me. Eravamo sicuri di questo e ne traevamo piacere. Frequentavamo anche la stessa classe! Chi poteva volere più bello di così? Non si poteva immaginare una congiunzione astrale più favorevole.
Il nostro amore era un dato di fatto, sacro ed indistruttibile. Nel liceo lo sapevano tutti, soprattutto nel quarto anno quando il nostro rapporto durava già da anni. Non rimase nascosto neppure agli insegnanti che comunqu
e non si intromisero. O per meglio dire lo fecero solo una volta.
Alla fine del terzo anno il nostro professore capoclasse, molto benvoluto, venne mandato in pensione per biechi giochi politici. Avrebbero potuto aspettare ancora un anno, tuttavia prima dell'inizio del nostro ultimo anno di liceo decisero per la pensione senza appello. Lui faceva parte del gruppo degli anziani
gentlemen colti e conservatori, era uno degli ultimi professori di vecchio stampo. Insegnava letteratura e storia ed era lui il nostro capoclasse, gli volevamo bene e lo stimavamo. Lo chiamavamo semplicemente ”zio Checco”; fummo fortunati ad aver potuto sapere com'era un professore vecchio stampo.
Purtroppo lo mandarono in pensione e ci mandarono al suo posto un nuovo professore responsabile per la classe. Quanto era stupido quel sistema nel sistemare le cose dal momento che ci assegnarono un capoclasse che insegnava russo e ideologia.
In ogni cosa egli era il contrario dello zio Checco. Era giovane. Con i capelli lucidi. E sorrideva in modo mellifluo. Indossava giacche a scacchi oppure a righe e cravatte fantasia colorate. Gli luccicava sulla mano un enorme anello a sigillo con una altrettanto enorme pietra rossa. Ciliegina sulla torta: insegnava il russo e l'ideologia di quel tempo.
A me! Il russo e l'ideologia a me! Era molto chiaro quale consideravo allora la mia ideologia. Non di certo il russo o le basi del marxismo ma un'altra cosa diversa che non era chiamata né scienza né arte. Dal punto di vista ideologico era sicuro che non e
ra tale. Se avessero saputo che scienza seria e che arte raffinata era quella! Comunque, io mi occupavo della più bella scienza del mondo, cioè dell'amore. E Dio mi è testimone che non fui io a cercare i guai ma furono altri che li attirarono...




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