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Ars poetica

AUTORE

L’ars poetica dell’Autore

Secondo l’opinione generale, anche se un po’ insicura, però la più accettata, non posso considerarmi scrittore, perché non faccio parte della comunità, pur se indeterminata, degli scrittori recenti, non avendo fatto studi letterari e non vivendo dall’attività di scrittore. Nonostante tutto mi occupo della scrittura, anzi, con grande serietà, e per questo penso di essere scrittore.


Cosa penso sia la scrittura e perché scrivo?

Ritengo una cosa molto seria la creazione di un libro; la mia opinione sulla motivazione è forse contraria a tanti altri punti di vista recenti. Oltrepassando qualche possibile disappunto, posso esprimere facilmente che un libro fa parte della cultura, ed una cosa di questo genere, in primo luogo, non è merce. Sostengo e credo che esistano dei valori e motivazioni oltre gli interessi del mercato e del profitto promulgati dai dogmi dell’economia recente. Considero la gente capace di creare qualcosa e seguire valori non materiali dedicandogli tempo ed energia. Per me la scrittura di un libro è un’attività di questo genere.
Uscire dai limiti della scrittura che produce per il mercato,
è una questione; più complicata è la scrittura per un altro tipo di profitto. Più precisamente: se questo genere di scrittura può rendere noto lo scrittore e se la sua motivazione è nobile? Non intendo – perché non si può nemmeno – prendere una posizione nella questione in merito, eppure oso pronunciare che neanche questo può essere motivante ed il vero fattore influente. Chiamo „un testimone” non minore dello scrittore di fama mondiale Hemingway ad appoggiare ciò che prima ho detto. Lui in un suo saggio critica fortemente gli scrittori dicendo che creano le loro opere spinti dal profitto materiale oppure dall’eventuale fama e riconoscimento di scrittore. Accusava gli scrittori di servire così i lettori, cercando il loro appoggio, però – come lui dichiarava esplicitamente nel suo saggio – la scrittura e lo scrittore hanno un dovere diverso. Davvero, questa è una questione più complicata, visto che il libro è indirizzato al lettore e se pensiamo bene, la critica da parte Hemingway suggerisce che, nonostante ciò non dobbiamo considerare il lettore come misura che determina il valore del libro. (È questo il punto quando abbiamo oltrepassato quel limite a cui prima avevo accennato: verranno fuori diverse opinioni che sono contrarie ai recenti punti di vista).era accusato reciprocamente dagli scrittori della sua epoca dicendo che per lui è facile parlare del dovere e della vocazione degli scrittori, i quali dovrebbero essere privi dell’approvazione dei lettori e del mercato, siccome lui si era sposato con una donna ricca.
In questo dibattito io appoggio Hemingway – anche se non mi sono sposata a una donna ricca –. Penso che gli scrittori che lo accusavano non capissero la forte critica di Hemingway.
Per primo, se qualcuno era scrittore noto, quello era Hemingway; cio
è lui ha trovato il riconoscimento – anche quello professionale! Però lui, nel suo saggio aveva compreso anche se stesso tra gli scrittori accusati.
Lui non scriveva per interesse materiale – sicuro non dopo la sua giovinezza –, per
ò, adesso che conosciamo le sue scritture tardive E la storia della sua vita con la fine tragica, sappiamo che la cosa che lo consumava era che, anche lui come tanti altri, scriveva libri per la fama e riconoscimento cioè quello che volevano i lettori. Detto questo riemerge la questione che sembra incredibile ed inevitabile: Allora, non è il lettore la misura per valutare un libro?
Devo rispondere perché sto verbalizzando la mia ars poetica: No. Non
è il lettore la misura che determina il valore del libro. Almeno non nel senso in cui pensiamo nei nostri giorni. Questo richiede un’altra spiegazione prima che il lettore si arrabbi con me. Anch’io so bene che un libro, la scrittura, sono indirizzati al lettore. Ed essendo una creazione indirizzata agli altri, non può essere un valore soltanto in se stesso, in questa forma se è prezioso soltanto per lo scrittore non è di valore. Se un libro non dà valore al lettore, non raggiunge lo scopo principale! Però, è importante accorgersi del fatto che una cosa è trasmettere valore ed un’altra ben diversa servire le aspettative di qualcuno!
La comprensione totale di questa domanda ci conduce all’altezza della filosofia.
Quel punto di vista secondo cui il valore di un libro
è determinato dall’opinione dei lettori è basato su quel modo di vedere il mondo secondo cui l’uomo è la misura di tutto. (Altrimenti questo fu già pronunciato da Protagoras molto tempo fa ad altro proposito E non per lo scopo e il valore della letteratura.)
Se il modo di vedere il mondo pronunciato dal sofista Protagoras fosse vero, allora sarebbe giusta l’opinione secondo cui il valore del libro dipende soltanto dal fatto se piace al lettore o meno. Questo pu
ò comprendere anche la diversità dei lettori – ci sono quelli a cui piace, ad altri non piace – e poi il giudizio della media dirà se uno scrittore è buono o meno. Però secondo me questo punto di vista è sbagliato fondamentalmente! Non perché sono i lettorI a dire quale libro è buono e non buono, ma perché io ritengo sbagliato il modo di vedere il mondo di Protagoras. Il vero valore di un’opera è definito diversamente da un altro punto di vista. Qual è questo altro modo di vedere il mondo?
Quello la cui comprensione, provava Socrate a scovarla dai cittadini di Atene – che ci
è stata lasciata in eredità grazie alle scritture di Platone: non è l’uomo la misura, perché esiste un’altra diversa. Sì, lo so, adesso sto navigando su acque che possono fare paura, mentre dovrei esporre la mia ars poetica. Ma credetemi, pur sembrando traslata e lontana dalla nostra vita questa domanda, la risposta determina tutti i nostri giorni, la nostra vita: con quale ideologia guardiamo il mondo – e anche il valore dei libri, che intendo spiegare qui.
Se l’uomo fosse la misura – che sgorga anche dal rubinetto: dica la propria opinione, Le piace o no, secondo Lei qual
è la verità? – allora un libro dovrebbe adattarsi in questo modo – e in questo caso Hemingway non avrebbe ragione. E quello che possiamo usare per dare una risposta, risulta da un altro punto di vista, cosa disse Socrate, il contrario di Protagoras?
Come sappiamo tramite Platone, Socrate non parlava dei libri, ma dei drammi, di opere teatrali. In breve possiamo riassumere cos
ì:
Il compito pi
ù nobile – o unico? – dei drammi dovrebbe essere l’educazione dello spettatore, insegnandogli qualcosa che prima non sapeva ma che è utile per lui. Portando un paragone di oggi si tratta di una relazione „insegnante – studente” tra il dramma e lo spettatore. Deviando dal testo originale di Platone spiegherei così: lo spettatore come studente riceve delle conoscenze di cui prima non era al corrente. In questo caso è giusto porre la domanda: è lo studente che sa di che cosa ha bisogno, oppure un buon insegnante? All’interno dell’opera platonica possiamo avere la risposta in diversi posti – il drammaturgo che veramente possiede sapienza è quello il giusto –. Poi sono le innegabili caratteristiche dei nostri giorni che sostengono meravigliosamente la spiegazione.
Se soltanto l’opinione dei cittadini di Atene, degli spettatori decide quali drammi sono buoni e quali drammaturgi vogliono conoscere, – come il gruppo degli studenti che, pur non avendo ancora studiato decidono loro l’insegnante e la materia da apprendere –, allora gli spettatori rifiutano le conoscenze nuove, importanti per loro. Cos
ì gli spettatori non fanno dei progressi e non saranno nemmeno esigenti per i drammi. Ma sappiamo che il dramma – secondo il nostro punto di partenza – dovrebbe sviluppare, educare gli spettatori. Se l’educazione manca, i cittadini di Atene possono diventare sempre più ignoranti, il che porta con sé che ritengono buoni e eccitanti i drammi sempre più bassi di livello. Non è una cosa simile che vediamo nella relazione tra gli spettatori e i film di Hollywood? Non sarebbe meglio se la relazione tra i drammi e i suoi spettatori, i film e gli spettatori, i libri e i lettori sviluppasse in un’altra direzione?
So bene che
è un po’ difficile mandare giù ed accettare il punto di vista secondo cui non è l’uomo, nel caso di opere arte il ricevente, la misura; in più E’ come se ci fosse un incubo, cioè come se ci fosse qualcuno o qualcosa che ci dice cosa guardare o leggere, che ci dice addirittura cosa è buono per noi. Qui sento l’urgente bisogno di sottolineare, stabilire che non sono a favore della dittatura politica! Non lo sono, e non lo sono mai stato. Altrimenti la politica in pratica è ben diversa dalle ideologie riportate per aiutare a risolvere la nostra questione. Vorrei soltanto chiarire che il punto di vista generalmente accettato oggi, secondo cui l’uomo è la misura, non aiuta, non porta allo sviluppo nel giudizio dei libri o di qualsiasi opera. Così ritengo possibile che un libro può essere privo di valore anche se alla maggior parte dei lettori piace; oppure viceversa: do ragione a Hemingway, cioè l’intenzione più nobile dello scrittore è quella quando l’autore crea qualcosa senza desiderare profitto materiale, fama o riconoscimento, però segue un vero valore e cerca di trasmetterlo agli altri. Io vorrei creare ed essere uno scrittore di questo genere.
Se accettiamo questo – orbene io sì, anzi, lo sostengo – allora la questione è la prossima:
Da scrittore cosa vorrei trasmettere al lettore?
Avevo già dovuto rispondere a questa domanda in un altro luogo, allora ero entrato nello spirito del monologo di Kornél Esti, il famoso personaggio dello scrittore ungherese Dezsõ Kosztolányi, citando: ”Voglio diventare uno scrittore che martella le porte dell’esistenza e tenta l’impossibilità.” Sono grandi parole, lo so – per questo che mi rivolgo ancora alla citazione, mettendo l’accento anche su Kosztolányi. Anzi, aggiungo un’altra parte della citazione: “Quello che è inferiore a questo, lo disprezzo...”
Io non disprezzo quello che si occupa degli interrogativi secondari a quelli dell’esistenza. Ci sono molti bravi scrittori – con la cui sapienza non posso nemmeno misurarmi – che hanno creato tantissimi libri senza martellare le porte dell’esistenza. Anzi, servono il bene del lettore e nello stesso tempo danno gran piacere, il che e’ un valore per il lettore! ’io mi sono trovato in posti e in situazioni avventurose, eccitanti: in Africa, nell’Asia del Est, nei Caraibi, in Afghanistan, in zone di guerra, in mezzo ai massacri. Ho visto la devastazione provocata dalle calamit
à naturali, che tanti non riescono neanche ad immaginare; ho visto anche la realtà sbalordente della povertà e della miseria dell’uomo; ma ho vissuto anche momenti felici, particolari dei paesi lontani, ho avuto la possibilita’ di comprendere immagini di vita, rapporti tra gli uomini e potrei ancora elencare le esperienze avute mentre giravo per il mondo lavorando come chirurgo di guerra e a scopo umanitario. Nonostante tutto sentirei di sbagliare – in senso traslato come un plagio –, se non volessi aggiungere qualcosa con le mie scritture a quelle già scritte meravigliosamente da tanti. Scrittori più abili di me avevano già creato degli ottimi libri, raccontando esperienze simili e quei capolavori sono raggiungibili per il lettore sin nei giorni nostri.
Perché dovrei scrivere qualcosa che di sicuro sarebbe molto pi
ù modesto delle opere di Karen Blixen, Hemingway, Maugham, che servirebbe soltanto ad aumentare il numero dei libri pubblicati. sarei stato superficiale se avessi parlato soltanto della bellezza e della miseria che si trovano sotto le palme ricurve dell’Africa, oppure del mondo pieno di colori dell’Asia Sudovest e dell’atmosfera delle isole Caraibiche senza la motivazione di quello a cui la citazione prima riportata di Esti Kornél allude.
Allora, martello le porte dell’esistenza? Adesso s
ì che mi trovo con le spalle al muro, devo per forza rispondere. Ma ammetto: Sì. Almeno lo vorrei, e per questo ritengo che valga la pena e la fatica di scrivere. La scrittura richiede un impegno serio, come anche Kosztolányi scrisse: “Perché dovete chiedere, dovete addirittura studiarla: svegliare senza sosta, soffrire, capire noi stessi e gli altri...”. Bisogna anche studiare, soprattutto quelli che insistono nel rispondere alle domande dell’esistenza e della morale.

Magari mi considero filosofo oppure missionario? La mia risposta
è veloce e molto facile: No. Al contrario di Péter Eszterházy – almeno lo avevo interpretato durante una sua presentazione – secondo il mio parere il filosofo e lo scrittore svolgono attività diverse. Certo, il confine non è evidenziato, però considerando i loro scopi e metodi, si tratta di due ruoli differenti. È così anche se il filosofo scrive, e viceversa lo scrittore può occuparsi delle domande di certi campi della filosofia. Mi metterei in questo ultimo gruppo: tra gli scrittori che si occupano delle questioni della filosofia.

Per
ò, quali sono queste questioni – martello le porte dell’esistenza! – che possono dare qualcosa di utile al lettore come prima detto?
Forse posso dire:
sono riuscito a capire cosa significa il tante volte citato “non-sapere” di Socrate – so soltanto che non so niente –, e perché è importante la comprensione di questo “non-sapere”. Uno che riesce a vedere questo, da una parte capisce che quando esistono senza dubbio il bello, il buono, ma l’uomo si dimostra ignorante in queste domande importanti, allora l’uomo non può essere la misura principale delle cose. Da un’altra parte uno che non raggiunge nemmeno il livello della comprensione con cui riconosce la propria umana ignoranza nelle domande principali, anche se questo determina la propria vita e esistenza, non sentirà nemmeno il bisogno di cambiare il proprio stato.
Forse posso dire che oltrepassando la protesta di opinioni basata sul puro verbalismo, grazie a Kant, è vero anche con tanta fatica, ma sono riuscito a comprendere quali sono i limiti della ragione pura e perché l’uomo è incapace di rispondere alle domande principali con l’abilità che possiede.
Poi un’altra cosa che si può comprendere più facilmente, cioè il mondo delle sensazioni che, opprimendo quasi (!) ogni altra fonte, è dato per tutti noi, e per quello che noi viviamo come il mondo, l’unica realtà, E non può essere la vera realtà.
Grazie alle motivazioni provocate dalle lacune, imparando ancora e raccogliendo dei dati, ma con la fede, si può accettare e capire sia il senso dei metodi delle persone più grandi, che ci indicarono la strada da seguire – Buddha e Gesù -, sia il perché dell’importanza cruciale della morale nella vita umana. Mi devono perdonare, ma in una breve ars poetica non si può spiegare in che cosa consiste questo elenco ridotto, incompleto e nemmeno perché sono queste le domande più importanti nella nostra vita. Però a coloro che non conoscono ancora queste domande ma sentono che è importante conoscerle, proporrei due fonti diverse. Una è quella della letteratura professionale di migliaia di pagine che dà l’appoggio più chiaro per quello che è capace di capirlo nel corso degli anni. Purtroppo anche la scelta dei volumi adatti richiede sapienza, magari fortuna. L’altra fonte: il lettore trova opere letterarie i cui autori avevano già raggiunto un certo livello nell’ambito di queste domande principali, E gli scrittori erano riusciti a trasmetterne alcune – anche se non tutte –, al lettore in modo più godevole di quello della letteratura professionale.
Io vorrei essere uno scrittore di questo genere, vorrei creare dei libri di questo tipo. Se il mio libro si capisce, se impressiona piacevolmente il lettore, lo può dire tranquillamente chiunque – l’intenzione rimane comunque, al massimo il mio giudizio da
l punto di vista di scrittore cambia.











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