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Abbellire l'anima

ASSAGGIO DEL VOLUME

Con quattro anni di università alle spalle ed avendo appena cominciato il quinto non potevo più considerarmi un ragazzo, eppure desideravo sempre di più che mio padre fosse venuto in modo da poter fare gli ultimi cento chilometri dalla stazione fino a casa, al mio letto

comodamente in macchina.
Il treno si fermò, la gente prese i propri bagagli. Le nostre poche cose non erano ingombranti dal momento che avevamo ormai finito tutto lo scatolame che appesantiva molto i bagagli all’inizio del viaggio. Ci mettemmo facilmente gli zaini in spalla e una volta scesi dal treno ci avviammo sul marciapiede; nonostante non lo dessi a vedere, speravo che mio padre ci aspettasse all'uscita. Kornél prese una sigaretta ma la rimise subito nel pacchetto dicendo:
Non fumo perché non piace a tuo padre. Scommettiamo che sarà qui!ho detto che non ci sarà, e non so nemmeno se sappia l’orario del mio arrivo.

Nonostante il mio scetticismo lo cercavo anch'io. Lentamente raggiungemmo la fine della banchina. Non vede
vo mio padre. Lo cercavo ormai chiaramente e mi guardai intorno più volte. All’improvviso, non so neanche perché, forse per la pulce nell’orecchio che mi aveva messo il mio amico, mi liberai dal mio zaino pensando così di trovare più facilmente il mio papà in attesa. Ma Kornél, accesa una sigaretta, tirò una boccata aggrottando la fronte e mi domandò solo questo:
Che c’è adesso? Perché ti accampi qui?
Con imbarazzo ripresi lo zaino e ci dirigemmo verso i sottopassaggi voltandomi però spesso indietro. Kornél si informò sull’orario del suo treno. Sarebbe partito dalla Stazione Ovest quaranta minuti dopo ed il mio da quella Sud ben quattro ore dopo.
Nel frattempo si fece completamente buio. Cercai una cabina telefonica per chiamare a casa. La cosa andò velocem
ente. Non vedevo l’ora di parlare con la mia famiglia e annunciare felice il mio arrivo. Dopo alcuni squilli rispose la mia sorella maggiore. Le dissi in tono gioviale:
- Ciao, sono Ákos, sono tornato, state bene?
Mia sorella attese qualche secondo prim
a di rispondere, un piccolissimo istante che però mi raggelò. Capii che c'era qualche problema. Infatti, al contrario del mio tono, mi rispose con voce depressa:
Ciao, nostro padre è molto malato.gli è successo? - la interruppi.
Sarebbe lungo spiegartelo. Abbiamo dovuto operarlo per un tumore. Ora non è più in pericolo ma durante la tua assenza pensavamo che da un momento all’altro se ne andasse. Adesso è quasi in stato di incoscienza ed è immobile, a letto. Il cervello se n’è andato durante le settimane critiche, sembra per sempre.
Aggiunse ancora alcuni dettagli, ma non ero capace di stare ad ascoltarla. Non riuscii a domandare niente di ragionevole, tranne questo:
Dove si trova?chirurgia.state voi?
Così così. Vieni a casa!
Vengo! – e riattaccai.
Stetti fermo per un momento senza dire niente poi il mio amico Kornél che stava fumando accanto a me si accorse che qualcosa non andava bene e mi chiese con voce preoccupata:
- Cosa vi è successo?
Così, all’improvviso non seppi cosa rispondere. Appoggiai la schiena al muro sporco e poi mi accovacciai nascondendo il viso tra le mani. Scoppiai in lacrime. La cosa più terribile era che mio padre era diventato un uomo incosciente ed inerte. Proprio lui che non si curava molto dell’aspetto, ma che invece v
antava con entusiasmo e con tanto garbo il suo sapere nel campo delle discipline spirituali. La sua conoscenza affascinante, che aveva accumulato fin dalla giovinezza come un’enciclopedia vivente, era inesauribile; questo significava la sua vita e la ragione del suo essere. Leggeva i drammi italiani e Anatole France in lingua originale; citava il poeta Berzsenyi al pranzo della domenica ma la sua vera professione era l’insegnamento delle scienze naturali. Era noto come il relatore preferito dell’università; questo spirito era ridotto a un nulla imprigionato in un corpo vuoto. Piangevo a dirotto come un bambino...







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